C’era una volta, e forse c’è ancora, un cavaliere che aveva perso la strada nel suo cammino. Un tempo, aveva un cuore limpido e uno scopo nobile. Vicino al cuore, custodiva un piccolo scrigno dove brillavano **tre gemme preziose**. Ogni giorno le accarezzava, le puliva con cura, le proteggeva dal freddo, dalla polvere, dal tempo. Erano luci uniche, silenziose, vive. Erano i suoi figli. Le portava con sé ovunque. E in loro trovava la sua forza. Ma cammina cammina, il cavaliere e le sue gemme si ritrovarono in un luogo diverso da tutti quelli conosciuti prima. Un luogo dove la sua voce non aveva più risonanza, dove il suo carisma non veniva più riconosciuto, dove la sua forza sembrava svanita. Era un posto dove non si applicavano le regole dell’onore, né quelle del rispetto. Un posto dove le virtù di un tempo sembravano inutili. E lì, in quel luogo straniero e ostile, il cavaliere si sentì smarrito, fragile, quasi inutile. E, senza rendersene conto, cominciò a trascurare lo scrigno. Non perché non amasse più le sue gemme, ma perché si sentiva **incapace di custodire ciò che aveva di più prezioso.** Camminò a lungo, nella nebbia dell’incertezza, e finì per perdersi.
Le Forze Occulte non comparvero all’improvviso. Si erano già infiltrate da tempo, silenziose, pazienti, attente. Erano nei sussurri, nelle regole non dette, negli sguardi che evitavano, nei sorrisi troppo composti. E quando videro il cavaliere stanco, isolato, incerto, capirono che era giunto il momento. Non colpirono con spade. Ma con firme, carte, parole pettinate che sembravano giuste. E così, un giorno, senza rumore e senza diritto, aprirono lo scrigno e gli portarono via le sue gemme. E così, senza rumore, senza che il cavaliere potesse opporsi, fu separato dai suoi beni più preziosi: i suoi figli. Non li sentì più correre nei corridoi. Non udì più i loro sussurri, né il loro riso. Solo il vento. Solo il vuoto. E mentre il mondo intorno a lui sembrava accettare tutto senza batter ciglio, il cavaliere capì che quelle Forze non cercavano giustizia. Cercavano oblio. Cercavano cancellazione.
Decise allora di mettersi in cammino per ritrovare le sue gemme. Chiese ovunque, bussò a molte porte, cercò nei villaggi e nelle torri degli uomini di legge. Ma nessuno gli rispose. Alcuni lo evitarono. Altri lo guardarono con sospetto. Eppure, lui sapeva dove si trovavano.Erano state rinchiuse nel Castello di Ghiaccio, una fortezza fredda e luminosa, dove tutto è fermo, e le emozioni si congelano. Per raggiungerlo, doveva attraversare un ponte:il Ponte Decrepito della Giustizia. Quando vi poggiò piede, il ponte scricchiolò, tremò e infine crollò sotto di lui, come se non fosse mai stato destinato a sostenerlo. Cadde a terra, sul lato opposto del burrone. Ferito. Solo. Il castello era lì, visibile, vicinissimo. Ma inaccessibile. E il cavaliere comprese che non bastava il desiderio di giustizia. Non bastava l’amore. Quel ponte, corrotto e spezzato, era stato costruito per escluderlo. Si sedette accanto alle rovine.E nel silenzio della notte, giurò che un giorno avrebbe trovato un altro passaggio, una via più vera.Perché nessuna fortezza è eterna, quando è costruita sul dolore.
Ma il dolore era troppo grande. E allora cominciò a gridare. Gridò i nomi delle sue gemme, gridò il suo amore, la sua verità. Gridò con tutta la forza che aveva in corpo. Ma più gridava, più il castello sembrava allontanarsi. La sua voce si perdeva tra le rocce, tra le nubi, tra le leggi non scritte. Nessuno rispondeva. Non tornava indietro neanche l’eco. Solo silenzio. Un silenzio spesso come pietra. Il cavaliere si accorse che la disperazione lo indeboliva, che più si agitava, più il mondo lo lasciava solo. Fu lì, nel silenzio assoluto, che comprese: non era gridando che avrebbe riavuto le sue gemme. Era camminando. Anche se nessuno lo vedeva. Anche se ogni passo sembrava inutile. Con la testa alta, il cuore ferito, e la certezza che la verità, un giorno, avrebbe trovato la strada.
Fu allora, nella solitudine più profonda, che qualcosa accadde. Dal fondo del suo cuore, dove il dolore sembrava essersi radicato, spuntarono tre piccole luci. Erano fioche, ma calde. Vive. Tre fiammelle. La prima si chiamava Verità. “Io ti guiderò,” disse. La seconda si chiamava Perseveranza. “Io ti rialzerò.”, La terza si chiamava Amore. “Io ti renderò invincibile.” Non erano doni del mondo esterno. Erano ciò che lui era sempre stato. E solo adesso, nel silenzio, nel vuoto, tornavano a brillare. Le fiammelle non gli promettevano vittoria. Gli promettevano forza per non arrendersi. E tanto bastava.
Così, armato solo di quelle tre fiammelle, il cavaliere si rimise in cammino. Non aveva spada.Non aveva scudo.Ma aveva in sé tutto ciò che serviva per affrontarela sua battaglia finale. Non combatteva più per essere visto, ma per essere degno del giorno in cui le sue gemme si sarebbero svegliate. E quando quel giorno arriverà, quando i suoi figli apriranno gli occhi e chiederanno: "Dov'è stato papà, mentre tutto questo accadeva?" Non sarà una voce a rispondere, ma il vento. Il vento dirà: "Papà è sempre stato qui.A battersi per voi."