Dettaglio del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo

Dettaglio da Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo

Lettera del Primo Maggio

Pagina dal Diario dell’Attesa

Oggi è il primo maggio.
Una volta, in questo giorno, le strade si riempivano di voci, di mani che si stringevano, di passi che confluivano verso una piazza comune. Oggi no. Oggi cammino solo, tra sentieri di montagna e boschi ancora umidi della notte.
La natura mi accoglie con un silenzio che non è vuoto, ma respiro. Gli uccelli cantano, il vento accarezza gli alberi, e io cammino. Non per fuggire, ma per ricordarmi che esisto.

È una passeggiata solitaria, sì. Non ci sono i bambini accanto a me, anche se li vedo in ogni angolo: lì dove la radice affiora dal terreno e diventa gioco, lì dove il ruscello mormora storie che avrei voluto raccontare con loro.
Ma questa solitudine è diversa: è piena della bellezza della vita, perché la natura, oggi, non mi giudica, non mi respinge, non mi accusa.
Oggi la natura mi accoglie. E in questo abbraccio verde sento ancora, nonostante tutto, di appartenere a qualcosa. A un ordine che non esclude, a un universo che non si difende da me.

E proprio camminando nella natura capisco: il bisogno di comunità non è un'invenzione dell’uomo. È qualcosa che precede ogni parola.
Lo vedo nelle formiche che si muovono in fila. Lo vedo nei funghi che nascono attorno alle radici, negli alberi che intrecciano le loro reti sotterranee per scambiarsi sostegno.
Anche l’uomo era parte di questo disegno. Ma oggi si è dimenticato. O forse gli hanno insegnato a dimenticare.

E oggi, Primo Maggio, tutto questo mi appare con ancora più forza.
Non penso al lavoro come salario o contratto. Penso al lavoro come dignità e come legame.
Una volta, in questo giorno, le persone si univano non sotto una sigla, ma sotto un bisogno comune: quello di sentirsi parte di qualcosa.
Forse le piazze sono state strumentalizzate. Ma sotto quelle bandiere c’erano volti, mani, storie semplici.
Era un giorno che ricordava che la libertà e la Repubblica non erano doni, ma conquiste.
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
Non sul privilegio. Sul lavoro. Su una fatica condivisa, su un futuro voluto insieme.

Forse è questo che mi ferisce di più: vedere che anche il padre, come il lavoratore, è stato isolato.
Un tempo il padre era una figura viva. Oggi è un individuo smarrito, spesso invisibile.
Come il lavoratore di oggi: non più parte di un corpo, ma un utente, un numero, un’isola.

Viviamo in un mondo che ci ha convinti che l’unione sia un ostacolo e l’indipendenza un valore assoluto.
Un contadino una volta, stringendo un cellulare, disse:
“Adesso con internet posso parlare gratuitamente con una persona in Nuova Zelanda... Ma dopo, che ci dobbiamo dire?”
Aveva ragione.
Siamo connessi col mondo intero, ma non sappiamo più parlarci tra noi.

Ed è per questo che oggi cammino.
Per ricordarmi – e forse per ricordarvi – che il bisogno di appartenenza non è debolezza. È natura.
E io, oggi, Primo Maggio, tra alberi e silenzio, resisto.
Non alla solitudine, ma all’idea che sia normale.

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