DICHIARAZIONE DI NON COLPEVOLEZZA DI UN PADRE ANTICO

Questa lettera scaturisce da una lunga conversazione con Giovanni.

...e parlando di compassione nel senso più autentico ed etimologico della parola, non posso non pensare ai miei figli.

Bambini che non hanno colpa, ma che si trovano oggi a pagare il prezzo più alto: quello di non avere entrambi i genitori accanto a sé.

Ma forse sbaglio.

Forse la bigenitorialità è soltanto uno slogan, un’etichetta comoda da sventolare nelle linee guida, mentre nella realtà la si nega ogni giorno, senza vergogna.

Forse la paternità stessa non è più un valore, ma un disvalore da estirpare.

Troppo vicina al concetto di autorità, troppo difficile da controllare, troppo emotivamente imprevedibile.

Forse la figura paterna è diventata uno degli ultimi ostacoli verso un ideale sociale che non ammette più relazioni autentiche, ma solo ruoli fluidi, adattabili, neutralizzati.

Una società in cui gli esseri umani, sempre più soli, atomizzati, dovranno imparare a non amare troppo, non resistere troppo, non pensare troppo. Solo eseguire.

E in questo scenario, essere padre — nel senso profondo, affettivo, pieno — è diventato un atto controcorrente. E forse anche per questo motivo, oggi, sono qui in un’aula di tribunale.

Mi dispiace, ma non mi posso adattare a questo modello.

Sono troppo vecchio — o forse solo troppo lucido — per fingere che tutto questo sia normale.

Troppo testardo per inchinarmi al nuovo credo che ha abolito le parole padre, madre, legame.

Io non voglio diventare fluido, adattabile, intercambiabile. Io sono un padre. Un uomo che ha amato, che ha costruito, che ha resistito.

E se oggi mi trovo qui, non è per cercare comprensione. È per dire ad alta voce che esisto, e che non mi vergogno di ciò che sono stato.

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